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Autoritratto in terza persona

luglio 2020

Il programma di una rivoluzione modale

Giovanni Bottiroli ha elaborato una nuova prospettiva filosofica, che si ispira alla nozione di “flessibilità”,1 e che egli ha indicato con diverse espressioni: ragione flessibile, pensiero della Metis,2 pensiero strategico.

Secondo Bottiroli, il limite maggiore della filosofia occidentale consiste nell’aver privilegiato implicitamente la prospettiva della rigidità. Ciò è visibile in tutte le zone-chiave della filosofia: nel concetto di identità, definito soltanto nel modo della coincidenza di un ente con se stesso, nel concetto di verità, inteso come subordinazione della mente a una realtà già data (adaequatio), e in generale nella logica, che ha sempre cercato nelle inferenze rigide la propria garanzia di validità.

Ogni filosofia degna di questo nome, e con ambizioni di radicale novità, si caratterizza per l’introduzione di nuove categorie (o concetti “supremi”). Per delineare il suo programma di ricerca, Bottiroli ha scelto come punto di partenza la Critica della Ragione pura, e più precisamente la Tavola delle categorie, imperniata sulla differenza tra categorie del dictum (Quantità, Qualità, Relazione) e categorie del modus (possibile – impossibile, effettuale – non effettuale, necessario – contingente).

Questa Tavola è stata rovesciata e ampliata. Rovesciata, in quanto Bottiroli afferma che le categorie fattuali devono ruotare intorno a quelle modali, e definisce la sua proposta come “rivoluzione modale”. Ma anche ampliata, in quanto vengono introdotte nuove coppie di categorie: rigido – flessibile, indiviso – diviso, denso – articolato. Le nuove coppie vengono collocate “più in alto” (o in posizione di comando) rispetto alle modalità classiche (riepilogate e fissate nella Tavola di Kant):3

Tavola di Kant

Orizzonti e debiti: i quattro autori

La proposta di Giovanni Bottiroli può venire meglio compresa in relazione, da un lato, alle filosofie di Nietzsche e di Heidegger e, dall’altro, in relazione alla psicoanalisi di Freud e di Lacan.

Heidegger è, per Bottiroli, non tanto il pensatore della differenza ontologica, ma colui che ha pensato l’essere come “modo”. Se la rivoluzione modale è una possibilità che si fa strada faticosamente nell’ambito della filosofia occidentale, Heidegger è colui che ha saputo offrire (e sia pure implicitamente) il contributo maggiore. E’ sufficiente riprendere il motto di Essere e tempo (par. 8), vale a dire “Più in alto della realtà (Wirklichkeit) si trova la possibilità” per riconoscere la via che Bottiroli ha inteso affermare in maniera definitiva.

Nietzsche non è il filosofo “energetista” di autori come Deleuze. E’ il filosofo dell’Oltreuomo e della volontà di potenza: e la volontà di potenza è desiderio di oltrepassamento, volontà di non coincidere con se stessi.

Freud non è tanto lo scopritore dell’inconscio, bensì il pensatore del soggetto diviso. Questa espressione va però subito precisata: Bottiroli non si riferisce al soggetto diviso in Es, Io, Super-io in quanto tale ripartizione resta vincolata a una concezione “mereologica”. Per comprendere la rivoluzione freudiana occorre far riferimento al saggio Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), dove Freud definisce l’identità mediante i processi di identificazione.

Je est un autre”, secondo la formula di Rimbaud. Nei suoi tratti più importanti, il soggetto non esiste se non in relazione all’alterità. Questa tesi è stata affermata in seguito anche da altri autori. Tuttavia, ciò che caratterizza la concezione di Bottiroli è il pluralismo delle relazioni con l’alterità: (a) pluralismo dei registri (Immaginario, Simbolico, Reale), con riferimento a Lacan; (b) pluralismo del Simbolico, definito come luogo del conflitto tra stili di pensiero.

Nella prospettiva della rivoluzione modale, il soggetto si determina nei suoi modi d’essere. Inizialmente, è “l’animale non ancora stabilmente determinato” (Nietzsche),4 l’ente definito dalle sue possibilità (Heidegger), un insieme di forze plastiche (Freud), e deve cercare una propria forma; è inevitabile che venga esposto alle pressioni dell’alterità: “Innanzi tutto «io» non «sono» io, ma sono gli altri, nella maniera del Si” (Heidegger, Essere e tempo, par. 27). E tuttavia il soggetto, grazie alla sua flessibilità, potrà oltrepassare queste prime forme.

 

Dall’identità ai modi di identità: una visione conflittuale

Dunque, i processi di identificazione sono processi di “alterizzazione”: un soggetto (x), plastico, flessibile, deve costruire la propria identità. Si rivolgerà ad altri soggetti, che appartengono alla realtà del presente o del passato, ma anche ai libri: per esempio, Don Chisciotte si lascia modellizzare dagli eroi della cavalleria, Emma Bovary dalle eroine romantiche dei libri letti in convento, Raskol’nikov dagli uomini superiori (Napoleone, ecc.).

I modelli esercitano sul soggetto “x” un fascino irresistibile. Un effetto alienante? Questa è la tesi di René Girard, che Bottiroli considera fallace e semplicistica, e che ha definito “menzogna mimetica”.5 Infatti un modello può agire come fonte di ispirazione e non solo di imitazione: bisogna distinguere dunque tra le identificazione confusive (le più mimetiche) e le identificazione distintive. Ogni grande artista si è identificato con gli autori che ammirava, per assorbirne le tecniche e anche la visione, ma al fine di oltrepassarlo. Anche le identificazioni confusive, però, come quella di Emma Bovary, offrono una possibilità di oltrepassamento: quale sarebbe stato il destino di Emma, senza i libri letti in convento? Sarebbe rimasta per tutta la sua vita la moglie fedele di Charles Bovary, un individuo mediocre e bête.

Come valutare invece il contributo della psicoanalisi? Freud viene considerato l’autore di una rivoluzione anche filosofica, in quanto elabora per la prima volta una concezione relazionale dell’identità: nei suoi tratti decisivi, il soggetto si forma soltanto in relazione a un’altra identità. Quanto a Lacan, con la teoria dei registri egli offre la possibilità di distinguere tra modi dell’identità. Questa possibilità rimane tuttavia bloccata, per due motivi: anzitutto, perché nella clinica si incontrano per lo più esempi di “alienazione”, cioè di identificazione confusiva con effetti patologici e paralizzanti; in secondo luogo, perché il Simbolico tende a venire schiacciato sull’Edipo e sulla Legge.

Questa concezione riduttiva del Simbolico è stata accentuata dalla scolastica lacaniana. Tuttavia, secondo Bottiroli, occorre ammettere con rammarico le responsabilità e i limiti di Lacan, che non sembra aver mai delineato possibilità creative per l’identificazione. D’altronde, se il Simbolico viene inteso come il registro della Legge, al soggetto che cerca una forma rimangono le possibilità di identificazioni (confusive) nell’Immaginario oppure l’identificazione paranoica con la legge.

Bisogna dunque modificare radicalmente la concezione del Simbolico. Nella visione di Bottiroli, il Grande Altro si scinde nel conflitto tra gli stili di pensiero: il separativo, il confusivo, il distintivo. Il separativo è il modo della razionalità rigida, dominante nella filosofia occidentale e nelle scienze, mentre il distintivo è il modo della razionalità flessibile. Dunque il Simbolico è la dimensione in cui si svolgono le lotte per l’identità: se prevale la flessibilità, allora il soggetto diventa una singolarità oltrepassante, assorbe modelli per rielaborarli, inventa se stesso.

Mentre la rigidità vincola l’identità al modo della coincidenza, alla flessibilità corrisponde l’identità nel modo della non-coincidenza con se stessi. Il motto di Nietzsche “Diventa ciò che sei” significa allora: “Non coincidere con nessuno dei modelli in cui troverai ispirazione”; “Impara a interpretare le tue possibilità superiori”; “Sii modalmente diviso”. 6

 

Gli stili di pensiero e la logica della flessibilità

Giovanni Bottiroli non si è mai accontentato di una nozione vaga di “stile”, e ha tentato di portare questa nozione sul terreno della logica. Che cosa ne consegue? Poiché lo stile si dice sempre al plurale, “la logica” (scritta con le virgolette, seguendo Heidegger)7 si apre al pluralismo logico, e diventa lo spazio in cui si affrontano le logiche disgiuntive (o separative) e le logiche congiuntive. Con queste espressioni si indicano due famiglie, la prima più omogenea, la seconda decisamente eterogenea.

Bottiroli non ignora che la distinzione tra stili di pensiero, o modi della logica, può venir attribuita – non dimenticando il grande precursore Eraclito – all’idealismo tedesco. Hegel distingue e contrappone la logica dell’intelletto (Verstand), che separa e irrigidisce, e la logica della Ragione (Vernunft), che privilegia le connessioni. In effetti, la dialettica è sempre stata intesa come una logica che lega o congiunge gli opposti. Qui iniziano però gli equivoci e le aporie, che la ricerca di Bottiroli ha voluto affrontare e sciogliere.

Gli opposti si dicono in molti modi. Aristotele, il maestro della polisemia, aveva distinto quattro significati: (1) i contraddittori (ad esempio “sono seduto e non sono seduto, contemporaneamente”), (2) privazione/possesso (ad esempio “vedere” e “essere cieco”); (3) i contrari, opposti che ammettono casi intermedi (ad esempio il grigio come misto tra bianco e nero); (4) i correlativi: quest’ultimo caso, esemplificato dalla relazione tra padrone e servo, riguarda gli opposti che si implicano reciprocamente.

Nei primi tre casi, gli opposti sono “ben separati”: coerentemente con la loro definizione, gli opposti si oppongono, pur ammettendo la possibilità di una sintesi (o ibridazione) nel caso dei contrari. Invece i correlativi sono opposti non-sintetizzabili.

Questa tipologia viene assunta da Bottiroli come una prospettiva per osservare gli sviluppi del pensiero logico in Occidente. Si delineano così due tradizioni:

(a) quella delle logiche disgiuntive, che privilegiano i contraddittori e i contrari. Tra i momenti di maggior rilievo, il quadrato logico elaborato nel Medioevo, che “dimentica” i correlativi; la distinzione di Kant tra due tipi soltanto di opposti, la contraddizione logica e l’opposizione reale, che corrispondono ai contraddittori e ai contrari aristotelici; la polemica di Popper contro la dialettica hegelo-marxista, accusata di confondere contraddittori e contrari in nome di una pretesa delirante al superamento del principio di non-contraddizione.

(b) quella delle logiche congiuntive, che si ramifica in diverse direzioni. Secondo Bottiroli, la possibilità di una logica dei correlativi è stata percepita solo parzialmente, e senza che si giungesse mai a fare chiarezza sui suoi principi. Soltanto a condizione di accogliere la flessibilità nel pensiero filosofico, e di assegnarle il “primo posto”, i correlativi possono entrare nello spazio logico e ontologico, e trasformarlo.

Ontologia e logica sono sempre strettamente intrecciate. La flessibilità, come definita da Bottiroli, non è una virtù adattiva, non è la flessibilità “minore”, pragmatica, vantata dalla sofistica antica: la vera flessibilità è la capacità di non-coincidere con se stessi. Ciò significa, nella concezione relazionale dell’identità, che un individuo si scinde in rapporto a un’alterità da cui si lascia modellizzare. L’identificazione è per l’appunto la correlazione tra identico e non-identico. Emma Bovary è contemporaneamente la moglie di Charles e una delle eroine che hanno plasmato la sua identità. Si rammenti il passo di Flaubert: “Allora ricordò le eroine dei libri che aveva letto, e la legione lirica delle adultere si mise a cantare nella sua memoria con voci di sorelle che l’ammaliavano”.8

 

Chiarimenti sulle logiche congiuntive (da Hegel a Deleuze)

Nel campo della filosofia occidentale, sono state sviluppate logiche che possono senza dubbio venir chiamate congiuntive, ma che sono molto distanti da un pensiero della flessibilità. Il caso più importante è quello di Hegel, la cui logica, non casualmente, continua a rappresentare un rompicapo anche per gli studiosi che ne sono attratti. Per Bottiroli, una nuova indagine sulla logica hegeliana appare più che mai necessaria: ma la sua fecondità dipende da alcuni chiarimenti indispensabili. Anzitutto: Hegel ha affermato la pervasività dei contraddittori (“Tutte le cose sono in se stesse contraddittorie”),9 inaugurando un equivoco di lunga durata. Qual è realmente lo statuto dei “contraddittori” hegeliani? Il ritmo triadico della sua logica suggerisce che Hegel privilegia la sintesi tra contrari. Si può tuttavia escludere il ricorso (subordinato) ai correlativi, in particolare nella Fenomenologia dello Spirito? Ma i correlativi sono opposti non-sintetizzabili: che ruolo svolgono, dunque?

Quanto sia importante la polisemia degli opposti per analizzare con precisione le teorie filosofiche, lo si può verificare esaminando un altro versante, cioè le filosofie della differenza, da Bergson a Deleuze, e l’obiettivo che esse dichiarano: l’eliminazione del negativo (e del Nulla come pseudo-idea). L’unico significato ammissibile in una filosofia che si vuole affermativa è il “non” delle differenze, dunque un “non” soltanto congiuntivo (derivato dallo strutturalismo). Ad un esame più attento, però, la presenza e la funzione degli opposti torna ad emergere. In che consiste infatti la sintesi disgiuntiva, se non nel “fare della disgiunzione una sintesi”?10 E che significato va attribuito alla “formula magica che cerchiamo tutti: PLURALISMO = MONISMO”11, se non l’identità immediata e il perfetto equilibrio tra i concetti gerarchicamente più alti in Deleuze? Ma l’identità immediata equivale alla coincidentia oppositorum, vale a dire una sintesi tra contrari. E’ esattamente questa la logica di Deleuze (e di Bergson). La si può considerare ancora come una versione delle logiche congiuntive, nel momento in cui ci si accorge che è imperniata su una relazione (i contrari) tipica del pensiero disgiuntivo? Forse sì, a condizione di riconoscerla come un ibrido e, soprattutto, a condizione di percepire la distanza irriducibile tra una logica del fluido e una logica della flessibilità.12

 

Dalla filosofia alla letteratura (come modo di pensare)

Nella ricerca di Bottiroli, filosofia e letteratura risultano strettamente legate: la loro “amicizia” (non priva di conflitti) può venir considerata un esempio di intensificazione reciproca, vale a dire dell’effetto più positivo che i correlativi sono in grado di generare. Si pensi al concetto di stile inteso come “stile di pensiero”. Lo si incontra in Hegel, così come in Nietzsche e in Heidegger (differenza tra pensiero calcolante e pensiero meditante). Ma soltanto un antico e ostinato pregiudizio impedisce di coglierlo nella letteratura, che, per Bottiroli è un modo di pensare.

Ciò non significa, quindi, che si debbano cercare “contenuti” filosofici nella letteratura (una distorsione che si è manifestata frequentemente nei riguardi di Dostoevskij). Non si tratta di applicare concetti filosofici a testi letterari, ma di accettare le sfide che vengono dalla letteratura, e che dovrebbero costringere la filosofia a riconoscere i propri limiti, i propri dogmi. Esaminiamo un concetto fondamentale come quello di identità. Per molti secoli la filosofia ha preso in esame l’identità unicamente nel modo della coincidenza, secondo due varianti fondamentali, la concezione proprietaria e quella mereologica: ha continuato a oscillare, se vogliamo, tra Aristotele e Hume. Soltanto negli ultimi due secoli alcuni filosofi sono entrati nel territorio dell’identità come sconfinamento, o non-coincidenza con se stessi. Ma nessuno ha saputo pensare questa prospettiva con la radicalità e il rigore di Freud.

E tuttavia, la possibilità di oltrepassare se stessi non è forse uno dei tratti più essenziali della condizione umana? Mentre i filosofi rimanevano prigionieri della loro cecità (una cecità tuttora dominante, nella cosiddetta filosofia analitica), gli scrittori costruivano personaggi dall’identità sconfinante e complessa. I modi dello sconfinamento hanno una varietà maggiore di quanto si è detto finora: il romanzo moderno, dal Don Chisciotte in poi, presenta molti casi di identità relazionale (in Stendhal, Proust, Dostoevskij, ecc.), secondo modalità sia confusive che distintive. Invece nella tragedia, caratterizzata da una temporalità incalzante e “precipitosa”, è più difficile incontrare processi di identificazione. Ciò non impedisce però all’eroe tragico di essere una singolarità sconfinante, che oltrepassa lo spazio della medietà annodando due estremi, il superiore e l’inferiore. Un perfetto esempio di questo legame tra gli estremi è il personaggio di Edipo.

Torniamo allo stile. Ogni personaggio può venire analizzato non solo nella sua identità, ma anche come il portatore di un modo di guardare e di un modo di pensare. Il punto di partenza di Bottiroli è rappresentato da un racconto di Poe, La lettera rubata, e da alcuni folgoranti intuizioni di Lacan, che a questo racconto ha dedicato un celebre Seminario. Nella lettura di Bottiroli, The Purloined Letter mette in scena tre tipi di sguardo: il Cieco, il Narcisista, lo Stratega. Le sorti del racconto dipendono dal conflitto tra gli sguardi, che sono anche modi di pensare: la razionalità rigida e separativa della polizia va incontro a uno scacco, quella flessibile di Dupin trionfa.13

 

La teoria della letteratura

Questa disciplina, che va considerata un’invenzione del XX secolo a partire dai Formalisti russi, ha conosciuto una straordinaria fase di elaborazione, e anche una notevole popolarità, negli anni sessanta del Novecento. Sono gli anni in cui lo strutturalismo raggiunge i suoi esiti migliori. A lungo andare, questa sovrapposizione ha finito però col danneggiare la teoria della letteratura, che è stata ristretta allo strutturalismo linguistico. Non solo, ma la critica agli eccessi di tecnicismo e l’esigenza di ritrovare gli aspetti tematici hanno generato un regresso degli studi letterari.

Bottiroli propone una visione rinnovata della teoria, indicando prima di tutto quelle che vanno considerate le “fonti” di ispirazione: Saussure, Freud, Heidegger.14 Dunque uno spazio aperto e dinamico – la metafora del “cantiere” come luogo di sperimentazione viene proposta più volte -, in cui si incontrano e si intrecciano le teorie del linguaggio, le teorie del desiderio e le teorie dell’interpretazione.

E’ nella convergenza, nel confronto, nell’ibridazione tra queste tre direzioni di ricerca che la teoria della letteratura può affermare la propria insostituibilità, smascherando la povertà dei cultural studies e di ogni approccio “contenutistico” e sociologico.

Che cos’è un testo letterario? La domanda “che cos’è” non implica alcun essenzialismo, afferma più volte Bottiroli replicando a obiezioni che ritiene insulse e stereotipate.15 Filosofi come Nietzsche e Wittgenstein ci hanno insegnato a non arrestarsi alle apparenze grammaticali. La domanda “che cos’è?” va dunque intesa nel senso dei Formalisti russi, che si chiedevano: “com’è fatto un testo? come funziona?”, ma esprime anche un’altra esigenza: non farsi paralizzare dal relativismo, nelle versioni filosofiche come in quelle pre-filosofiche.

 

Il testo letterario come artefatto e come oggetto virtuale

La letteratura comprende opere così diverse dal punto di vista delle modalità espressive, delle forme e delle tecniche, oltre che ovviamente dei contenuti, da far apparire ingenuo ogni tentativo di trovare proprietà comuni. Ma, in primo luogo, perché dovremmo cercare proprietà e non possibilità? Non è questo che suggerisce Heidegger nella sua ontologia? Inoltre, perché non concentrarsi sull’esperienza estetica, sui modi in cui incontriamo le opere?

Le opere letterarie sono oggetti-di-linguaggio: non bisogna mai dimenticarlo. Ciò non implica che la linguistica offra strumenti adeguati, in quanto essa mira a descrivere i processi di comprensione e ignora quelli di interpretazione. Questa distinzione viene proposta impeccabilmente da Wittgenstein: «Se mi si chiede “che ora è?”, in me non ha luogo nessun lavoro di interpretazione, semplicemente reagisco a quel che vedo e odo. Se uno mi sguaina un coltello in faccia non gli dico: “L’interpreto come una minaccia”»16. In effetti, noi non interpretiamo sempre: anzi, nella maggior parte dei casi ci limitiamo a comprendere. Non va escluso però che una comunicazione possa evolvere verso una maggiore duttilità semantica.

La letteratura comprende un gran numero di opere: anche un brutto romanzo, una poesia ridicola, una commedia noiosa, fanno parte della letteratura come genere di discorso. Perciò un lettore può incontrare due tipi completamente diversi di testo. Per la maggior parte, le opere letterarie sono grandezze costanti: le leggiamo, le comprendiamo, eventualmente le apprezziamo. E tutto finisce lì. Ma alcune opere sono grandezze dinamiche (come ha detto Mukařovský): sono la combinazione tra un artefatto (il testo così com’è) e un oggetto virtuale, cioè le sue possibili interpretazioni. Grazie ad esse, un’opera spezza il contesto storico in cui è stata creata, ed entra in quello che Bachtin ha chiamato “il tempo grande”.17 Questo concetto non è per nulla enfatico, semmai ha un carattere sperimentale. Un esempio; la prova che l’Antigone di Sofocle è una grandezza dinamica sta nell’eccellenza delle interpretazioni che ne hanno articolato la densità, la ricchezza delle relazioni interne, e che l’hanno sottoposta ad autentiche metamorfosi: quelle di Hegel, Kierkegaard, Lacan, ecc.18

Il tempo grande è il tempo delle buone interpretazioni, che non sono infinite. “Infinita è solo la doxa”.19

 

Interpretare i testi

La letteratura degna di questa nome, e che non ha bisogno di venir accompagnata da nessun aggettivo, comprende solo le grandezze dinamiche. Quanto alla teoria, essa ha un duplice compito: descrivere il funzionamento dei testi, e costruire una scatola degli attrezzi per l’analisi. Come ha detto Barthes, teoria = visione + tecniche.

Per Bottiroli, ogni buona lettura è un conflictual reading, che fa emergere la pluralità degli stili, le differenze e i conflitti tra modi di identità, le dinamiche del desiderio. Il suo orizzonte sono le estetiche conflittuali, a cui – in prospettive assai diverse – hanno contribuito Nietzsche e Heidegger, Freud e Lacan, ma anche Bachtin.

Infine, la teoria deve saper riprendere e sviluppare le intuizioni dei grandi scrittori: Tolstoj ha detto che un’opera è “un labirinto di nessi”, Proust che “Tutti i bei libri sono scritti in una sorta di lingua straniera” –20 queste enunciazioni aforistiche, che Bottiroli menziona più volte, sono prospettive sull’intera letteratura.

 

* L’autore dedica questo autoritratto agli amici e a tutti coloro che lo stimano

1 Per gli esiti più sistematici, cfr. La ragione flessibile (2013) e La prova non-ontologica (2020).

2 La riscoperta della metis si deve al libro di M. Detienne e J.-P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia (1974); trad. it. Laterza, Roma-Bari 1978. Tuttavia Bottiroli considera riduttiva questa traduzione, e definisce la metis come intelligenza flessibile (e strategica).

3 Cfr. La prova non-ontologica. Per una teoria del Nulla e del “non”, p. 161.

4 F. Nietzsche, Al di là del bene e del male (1886); trad. it Adelphi, Milano 1976, VI, t. II, p. 68.

5 G. Bottiroli, Desiderio di avere, desiderio di essere in Letteratura e altri saperi. Influssi, scambi, contaminazioni (a cura di A. Babbi e A. Comparini, Carocci, Roma 2020) (in corso di stampa).

6 G. Bottiroli, La prova non-ontologica, cit., p. 255.

7 Cfr. M. Heidegger, Che cos’è metafisica? (1929) in Segnavia (1976); trad. it. Adelphi, Milano 1987, p.63.

8 “Ma, vedendosi nello specchio, si stupì del suo viso. Mai aveva avuto occhi così grandi, così neri e profondi. Qualcosa d’inafferrabile, diffuso sulla sua persona, la trasfigurava. Si ripeteva: “Ho un amante! Un amante!”, deliziandosi a questo pensiero come a quello di una nuova pubertà sopravvenuta. Avrebbe finalmente posseduto quelle gioie dell’amore, quella febbre di felicità di cui aveva disperato. Entrava in qualche cosa di meraviglioso, dove tutto sarebbe stato passione, estasi, delirio; un’immensità azzurra la circondava, le cime del sentimento brillavano nel suo pensiero, l’esistenza comune le appariva ormai lontana, in basso, nell’ombra, tra i vuoti di quelle alture. Allora ricordò le eroine dei libri che aveva letto, e la legione lirica delle adultere si mise a cantare nella sua memoria con voci di sorelle che l’ammaliavano” (G. Flaubert, Madame Bovary, 1857; trad. it. Rizzoli, Milano, p. 157).

9 G.W.F. Hegel, Scienza della logica (1812-1816); trad. it. Laterza, Roma – Bari 1994, t. II, p. 490.

10 G. Deleuze, Logica del senso, (1969); trad. it. Feltrinelli, p. 159.

11 G. Deleuze – F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schifzorenia (1980); trad. it. Orthotes, Napoli – Salerno 2017, p. 60.

12 Cfr. il capitolo “Smontare Deleuze. Una filosofia dell’indiviso” in La prova non-ontologica, cit.

13 Al racconto di Poe, definito “un racconto dell’intelligenza”, e al seminario di Lacan, Bottiroli ha dedicato riflessioni via via più precise, e con alcune variazioni. Cfr. Jacques Lacan. Arte linguaggio desiderio, 2002 (pp. 28-49) e Che cos’è la teoria della letteratura, 2006 (pp. 178-188).

14 Cfr. Che cos’è la teoria della letteratura, cit..

15 Ad esempio, quelle di Genette in Finzione e dizione (1991); trad. it. Pratiche, Parma 1994.

16 L. Wittgenstein, Grammatica filosofica (1930-1934; edizione postuma 1969); trad. it. La Nuova Italia, 1990, p. 13.

17 M. Bachtin, Risposta a una domanda della redazione del ‘Novyi mir” (1970) in L’autore e l’eroe, Einaudi, Torino 1988.

18 Cfr. G. Steiner, Le Antigoni (1984); trad. it. Garzanti, Milano 1990 e Antigone e la filosofia (a cura di P. Montani), Donzelli, Roma 2001.

19 G. Bottiroli, Return to literature. A manifesto in favour of theory and against methodologically reactionary studies (cultural studies etc.) in “Comparatismi”, 3, 2018.

20 Questa definizione di Tostoj era molto amata dai Formalisti russi. La frase di Proust si trova nel Contro Sainte-Beuve.